Breve storia dell’arte digitale
La storia dell’arte digitale, o meglio della computer art, inizia negli anni ’50 dello scorso secolo, di pari passo con l’avvento dei primi elaboratori elettronici, e i suoi primi sperimentatori non furono propriamente due artisti, bensì due matematici e programmatori, l’americano Ben Laposky e il tedesco Manfred Frank: personaggi con delle sensibilità artistiche particolari, che si rifanno al costruttivismo e al razionalismo del Bauhaus, e realizzando una sorta di “oscillogramma” che lavora con l’oscilloscopio, e scrive una funzione matematica, non un’immagine, nel processore, ottenendo la base per una proiezione grafica, che attraverso un tubo catodico crea delle distorsioni astratte e bidimensionali. Numeri che diventano disegno, e quindi una forma di espressione.
Una decina di anni dopo, toccò ad un altro accademico matematico, nonché studioso di fisica e filosofia, il professore tedesco Georg Nees, innovare questa nuova forma artistica, dapprima organizzando, nel 1965 presso la Galleria di Studio del Collegio di Stoccarda, la prima mostra di arte digitale, intitolata Computer Graphik e poi cimentandosi con le prime realizzazioni scultoree, in legno, ispirate ai disegni creati dalla computer grafica. L’evoluzione dei dati, che diventano ancora più realizzazione artistica ed espressione sia della mente umana, sia dell’elaborazione di formule e processi.
Per giungere alla vera e propria computer art, come abbiamo imparato ad apprezzarla noi, dobbiamo compiere un salto temporale e tecnologico di 15 anni: siamo negli anni ’80, i computer sono sempre più potenti e i suoi utilizzi non più limitati a poche figure, per lo più scienziati ed universitari, ma diventa “alla portata di tutti”, anche se a determinate condizioni economiche: si creano nuove tipologie di realizzazione artistica, come la pixel-art, che ripropone uno stile quasi vintage, e che forse è proprio uno dei motivi del suo grande successo, soprattutto negli anni ’90, quando diversi collettivi si ispirano ad essa, dandole uno sguardo sempre più futuristico. Basandosi su strutture molto vicine a quelle ludiche dei videogiochi del tempo, vengono riprodotti panorami urbani, e solo, di grandi dimensioni, partendo però dal singolo pixel, creando immagini dal grande impatto comunicativo, che possono essere godute non solamente dal senso principale, la vista, ma anche dagli altri, quasi in un percorso artistico ed interattivo, a disposizione di tutti e dalle mille interpretazioni.
Dagli anni 2000, sino ai giorni nostri, l’arte digitale conosce sia un momento di incredibile attenzione e visibilità, come mai era successo prima, grazie alla sempre più crescente digitalizzazione, sia una vera e propria ondata rivoluzionaria, prodotta dalla diffusione del concetto di NFT, ovvero dell’identificazione univoca e certificata di file digitale, nonostante questo possa essere ripetuto sulla rete infinite volte.
Cosa significa tutto ciò? Che la digital art, nata come forma d’arte libera, incomincia a possedere una caratteristica di rarità ed unicità, aprendosi a degli scenari più tipici dell’arte come la conosciamo: la vendita, il possesso del bene, il collezionismo. Come nella scultura e nella pittura fisica, anche il digitale ottiene il suo riconoscimento più grande, ovvero quello del valore, non solo morale, ma anche tangibile.